SYD BARRETT
IL VISIONARIO FONDATORE DEI PINK FLOYD
Genio creativo e mente psichedelica, Syd Barrett ha plasmato i primi Pink Floyd con immaginazione, arte e mistero. Scopri la sua storia, l’influenza musicale e il mito che ancora oggi affascina milioni di fan.

Syd Barrett: il genio fragile dei Pink Floyd
Quando si parla dei Pink Floyd, il nome Syd Barrett emerge come una presenza luminosa e sfuggente. Fondatore e primo leader della band, Barrett è stato l’artefice della loro identità iniziale, portando nella musica una miscela unica di psichedelia, surrealismo e innocenza creativa. Ma la sua parabola fu tanto folgorante quanto tragica.
Chitarrista, autore e performer carismatico, Barrett ha lasciato un segno profondo nella cultura musicale degli anni Sessanta. In soli due anni di attività con i Pink Floyd, ha contribuito a plasmare un nuovo modo di intendere la musica rock, tra sogno e follia. Questo articolo ripercorre la sua breve ma intensa avventura artistica e umana.
Le origini: tra arte e immaginazione
Roger Keith Barrett nasce il 6 gennaio 1946 a Cambridge, in Inghilterra. Cresce in una famiglia colta e borghese: il padre, Arthur, è un medico patologo, mentre la madre, Winifred, è una fervente appassionata d’arte. Fin da piccolo Syd mostra un’intelligenza vivace, una grande immaginazione e un talento naturale per il disegno e la musica.
A soli dieci anni perde il padre, un trauma che lo segna profondamente. Inizia a rifugiarsi nella creatività, sviluppando un rapporto intimo con la pittura, la scrittura e il suono. Durante l’adolescenza, impara a suonare la chitarra e si appassiona al rhythm and blues, al folk e alla musica sperimentale americana. Ma più di tutto, Syd è attratto dal non convenzionale.
Frequenta la Cambridge High School for Boys, dove conosce Roger Waters, con cui stringe un legame duraturo. Successivamente si iscrive alla Camberwell College of Arts a Londra, dove sviluppa uno stile pittorico colorato e naïf, che riecheggerà anche nella sua musica. Lì conosce altri musicisti e inizia a suonare in piccoli gruppi locali.
La nascita dei Pink Floyd: visione e delirio
Nel 1965, dopo varie formazioni provvisorie, Syd Barrett entra stabilmente in un gruppo formato da Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright. Inizialmente chiamati The Tea Set, poi The Abdabs, è Barrett a proporre il nome definitivo: The Pink Floyd, un omaggio ai bluesmen americani Pink Anderson e Floyd Council.
Fin dall’inizio, la personalità di Barrett è dominante. Scrive la maggior parte dei brani, canta, suona la chitarra in modo innovativo e crea un’immagine onirica e psichedelica per la band. Introduce effetti sonori, testi surreali e giochi di luce nei concerti, rendendo i Pink Floyd pionieri della psichedelia britannica.
The Piper at the Gates of Dawn
Il primo album ufficiale della band, The Piper at the Gates of Dawn, viene pubblicato nell’agosto del 1967. È un disco profondamente barrettiano: Syd scrive otto dei dieci brani e ne canta la maggior parte. Il titolo stesso è tratto da un capitolo del romanzo Il vento tra i salici, a testimoniare il suo amore per l’infanzia e la letteratura fantastica.
Brani come Astronomy Domine, Lucifer Sam, Matilda Mother e Bike raccontano un universo fiabesco, inquieto e psichedelico. Il suo stile chitarristico, basato su feedback, slide e manipolazioni sonore, è rivoluzionario per l’epoca. Barrett non imita nessuno: crea un mondo tutto suo.
Il successo è immediato. I Pink Floyd diventano il volto della Londra psichedelica insieme a gruppi come Cream e Soft Machine. Suonano al UFO Club, al Roundhouse e vengono persino scelti per aprire i concerti di Jimi Hendrix. Ma mentre la fama cresce, la fragilità di Syd inizia a manifestarsi in modo preoccupante.
I primi segnali di instabilità
Già alla fine del 1967, Barrett inizia a mostrare comportamenti sempre più erratici. Sul palco si blocca, suona una sola nota per interi minuti o resta immobile senza cantare. In studio è spesso assente, confuso o eccessivamente dispersivo. L’abuso di LSD sembra aver scatenato una forma di psicosi latente, compromettendo il suo equilibrio mentale.
La band, inizialmente protettiva, cerca di aiutarlo. Ma i problemi aumentano. Durante il tour americano, Syd diventa imprevedibile: salta interviste, non si presenta ai concerti o si rifiuta di esibirsi. A Londra, inizia a frequentare persone tossicodipendenti e isolarsi sempre più dal gruppo.
Nel tentativo di salvare la band e allo stesso tempo sostenere Barrett, i Pink Floyd decidono nel gennaio 1968 di affiancargli un nuovo chitarrista: il suo amico di infanzia David Gilmour. Ma il sodalizio dura poco. In marzo, Syd viene ufficialmente allontanato dal gruppo.
Un nuovo inizio: la carriera solista
Dopo l’esclusione dai Pink Floyd nel marzo del 1968, Syd Barrett prova a riprendere in mano la propria vita e la sua carriera. Incoraggiato dagli ex compagni David Gilmour e Roger Waters, inizia a lavorare a un progetto solista, sebbene il suo stato mentale rimanga instabile e altalenante.
Nel 1970 escono due album: The Madcap Laughs e Barrett. Il primo, prodotto anche da Gilmour e Waters, è un'opera intensa e disarmante, dove le fragilità di Syd diventano parte stessa della musica. Brani come Terrapin, Dark Globe e Octopus rivelano un universo sonoro caotico, poetico, infantile e disturbante.
Nel secondo disco, Barrett, l’approccio è più strutturato, ma l’ispirazione sembra già affievolita. Nonostante l’interesse della critica e il culto crescente tra i fan, Barrett non è in grado di promuovere gli album dal vivo. Le sue apparizioni in radio e TV sono sporadiche e spesso confuse.
L’ultimo concerto e la scomparsa
Nel 1972 prova a formare una nuova band, i Stars, con il batterista dei Pink Fairies e il bassista Twink. Il gruppo si esibisce in alcuni locali di Cambridge, ma l'esperienza è breve: dopo una performance disastrosa, Syd abbandona definitivamente l’idea di esibirsi in pubblico.
In seguito, Barrett si ritira nella casa materna a Cambridge, dove vive lontano dai riflettori. Si dedica alla pittura, al giardinaggio e ad attività domestiche, tagliando quasi tutti i contatti con il mondo musicale. Per oltre trent’anni, vive da recluso volontario, rifiutando interviste, contratti e inviti pubblici.
Negli anni ’80 e ’90, molte leggende iniziano a circolare su di lui: dalla presunta pazzia alla mistica del “genio bruciato”. Ma chi lo ha conosciuto davvero racconta di un uomo tranquillo, segnato dal passato ma sereno nella sua scelta di sparire dalla scena pubblica.
Il mito cresce
Nel frattempo, la figura di Syd Barrett diventa un mito. Per la sua unicità, per la tragica parabola artistica, per la sua capacità di creare un mondo musicale completamente nuovo e poi scomparire. Generazioni di musicisti, da David Bowie ai Radiohead, citano Barrett come fonte di ispirazione.
I suoi brani vengono reinterpretati, celebrati, studiati. Album come The Madcap Laughs diventano oggetti di culto. E le biografie a lui dedicate si moltiplicano, cercando di raccontare l’uomo dietro al personaggio, spesso senza riuscirci del tutto.
L’omaggio silenzioso dei Pink Floyd
Nonostante l’allontanamento forzato, i membri dei Pink Floyd non dimenticarono mai Syd Barrett. La sua presenza – anche quando assente fisicamente – continuò a riecheggiare nelle loro opere. L’album Wish You Were Here del 1975 è un tributo struggente: il brano Shine On You Crazy Diamond è un inno alla sua genialità e fragilità.
Durante le sessioni di registrazione dello stesso album, Syd fece un’apparizione in studio, completamente trasformato e irriconoscibile. Rasato, sovrappeso, assente. Nessuno lo riconobbe subito. Quando capirono chi fosse, l’atmosfera si fece pesante, colma di malinconia e impotenza. Fu l’ultima volta che vide i suoi ex compagni.
La morte e il ricordo
Il 7 luglio 2006, Syd Barrett si spense a Cambridge, all’età di 60 anni, a causa di complicazioni legate al diabete. La notizia colpì profondamente il mondo musicale e i fan di tutto il mondo. Non ci fu funerale pubblico, per volere della famiglia, ma le commemorazioni si moltiplicarono in ogni angolo del pianeta.
I Pink Floyd, nella loro storica reunion del 2005 per il Live 8, dedicarono simbolicamente l’evento alla sua memoria. Anche nella performance finale a The Wall Live di Roger Waters, l’ombra di Syd è sempre presente. In ogni spettacolo, in ogni album post-Barrett, resta il segno indelebile del suo passaggio.
Una leggenda senza tempo
Syd Barrett è oggi considerato una delle figure più emblematiche della storia del rock. La sua vicenda ha ispirato romanzi, film, documentari e canzoni. È diventato il simbolo del genio fragile, dell’artista che brucia intensamente ma non regge il peso della propria fiamma creativa.
Il suo impatto sulla musica psichedelica è stato rivoluzionario. La sua estetica, il suo approccio compositivo, la sua voce bizzarra e visionaria hanno aperto nuove strade sonore. Barrett ha incarnato l’anima pura dell’arte, quella che non scende a compromessi, quella che rischia tutto per esprimere l’ineffabile.
E proprio per questo, ancora oggi, Syd Barrett non è solo un ex membro dei Pink Floyd. È un archetipo, una leggenda, una stella che continua a brillare nel firmamento della musica.
Un’eredità viva e sempre più attuale
Nel tempo, la figura di Syd Barrett ha acquisito uno status quasi mitologico. Non solo come fondatore dei Pink Floyd, ma come esempio estremo dell’artista puro, incapace di adattarsi alle regole del mercato o alle pressioni del successo. In un mondo musicale sempre più industrializzato, Syd rappresenta la resistenza poetica.
Numerosi artisti contemporanei continuano a citarlo come fonte di ispirazione. Dai Radiohead a MGMT, da Porcupine Tree a The Flaming Lips, molti riconoscono in Barrett il primo vero pioniere del rock psichedelico introspettivo, capace di unire suono, visione e parola in una miscela unica e irripetibile.
Una presenza culturale trasversale
Syd Barrett è ormai parte integrante dell’immaginario collettivo. La sua figura è studiata nei corsi di storia della musica, citata in libri di filosofia dell’arte, rappresentata in opere visive e teatrali. Esistono fan club, conferenze e mostre a lui dedicate. Anche la BBC gli ha riservato diversi speciali nel corso degli anni, a testimonianza di un interesse che non accenna a diminuire.
Nonostante la sua discografia sia limitata a pochi album, la sua influenza è paragonabile a quella di giganti molto più prolifici. E proprio questo – il fatto di aver lasciato così poco ma così incisivo – rende la sua figura ancora più affascinante. Come un haiku musicale, breve ma eterno.
Syd Barrett non è mai andato via
Cambridge conserva il suo spirito nei luoghi della sua giovinezza. I fan visitano la sua casa natale, i luoghi dei suoi primi concerti, i negozi che frequentava. Il tempo non ha fatto sbiadire il suo ricordo, anzi: lo ha reso più nitido, più intenso. Syd è entrato nel cuore di chi cerca nella musica non solo intrattenimento, ma esperienza emotiva profonda.
Syd Barrett non è stato semplicemente un musicista caduto nell’oblio. È una stella che ha brillato troppo intensamente per durare, ma il cui bagliore continua a guidare chi cerca autenticità, visione e bellezza nella musica. Un simbolo di libertà artistica, di fragilità umana e di immaginazione senza confini.
E così, anche oggi, quando ascoltiamo i primi brani dei Pink Floyd o le sue tracce soliste, Syd ci parla ancora. Sussurra da un altro tempo, da un’altra dimensione, e ci ricorda che la vera arte non ha bisogno di sopravvivere alle regole del mondo. Perché è già altrove. Dove solo la musica può portarci.